In cucina un olio vale l’altro?

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Per tanti anni, di fronte a seri problemi di salute come l’obesità, le malattie cardiovascolari, livelli elevati di trigliceridi e colesterolo, ci hanno intimato di limitare l’uso dell’olio nella nostra alimentazione, per arginare il più possibile l’apporto di grassi. Ma un olio vale l’altro? Che impatto hanno sul nostro metabolismo? Cosa c’è di vero in queste affermazioni? Scaviamo un po’ più a fondo.

Perché non dobbiamo demonizzare l’olio?

Non tutti i tipi di olio sono nocivi alla stessa maniera, ce ne sono alcuni di sani che sono fondamentali per la nostra salute, stiamo parlando ad esempio dell’olio d’oliva, dell’olio di cocco, o ancora, dell’olio di semi di lino.

Olio d’oliva
L’olio di oliva rappresenta uno dei principali protagonisti della dieta mediterranea, è il condimento da preferire in assoluto sia crudo, sia per cucinare. Viene estratto dalla spremitura dei frutti, le olive, della pianta Olea europea.

Il suo elevato punto di fumo* (210 °C per l’olio extravergine di oliva) ne fa uno dei condimenti più adatti per le fritture. L’olio di oliva ha inoltre un elevato valore energetico (899 Kcal per 100 grammi) ed è principalmente per questo motivo che, nonostante le sue benefiche proprietà, ne viene limitato il consumo.

L’olio di oliva è particolarmente ricco di grassi monoinsaturi ed in particolare di acido oleico (omega 9). Grazie a questa sua particolare composizione in acidi grassi, è uno dei condimenti migliori per tenere sotto controllo i livelli di colesterolo cattivo (LDL) nel sangue: l’acido oleico, infatti, riduce i livelli di colesterolo-LDL senza intaccare la percentuale di colesterolo “buono” (HDL).

Questo acido grasso, pur non essendo essenziale, è quindi molto importante per il nostro benessere.

Olio di cocco
L’olio di cocco viene ricavato dai frutti dell’omonima pianta, il cui nome scientifico è Cocus nucifera presente tipicamente nei paesi tropicali.
I semi di questi frutti (anche più conosciuti come noci di cocco), opportunamente privati dell’involucro fibroso più esterno e dello strato legnoso che li avvolge, sono bianchi, carnosi e saporiti. La loro mandorla, più o meno essiccata e detta copra, contiene circa il 65% di grasso e proprio da queste se ne ricava l’olio.

L’olio di cocco è caratterizzato da numerosi acidi grassi saturi con struttura a media catena, come ad esempio l’acido caprinico, caprilico, caprico e il più presente acido laurico. Questi nutrienti rappresentano una fonte di energia altamente disponibile, poiché vengono assorbiti e trasformati (tramite processo di ossidazione) molto facilmente rispetto ad altri tipi di grassi (quelli con struttura a lunga catena).

Pur essendo ricco di questi acidi grassi saturi, studi osservano che l’olio di cocco non dovrebbe influenzare negativamente i livelli di colesterolo nel sangue, proprio perché povero di acidi grassi saturi a lunga catena, come il palmitico, nocivi per la salute delle nostre arterie.

Al contrario in questo tipo di olio si registrano buone quantità di acido oleico (omega 9) e di una piccola percentuale di acido linoleico (omega 6).

Il suo punto di fumo corrisponde a 177°C.

Olio di semi di lino
Dai semi di lino si può ricavare l’olio, costituito prevalentemente da trigliceridi ricchi di acidi grassi polinsaturi essenziali (ω3 e ω6).

L’apporto di questi nutrienti deve necessariamente provenire dall’alimentazione, dal momento che l’organismo non è in grado di produrli a partire da altre sostanze. Va detto, inoltre, che l’utilizzo di olio di lino è particolarmente utile per riequilibrare il rapporto tra ω3 e ω6, che a causa dello stile alimentare moderno è spesso sbilanciato a favore di questi ultimi (l’olio di lino infatti è particolarmente ricco di omega 3).

I modi più salutari per friggere

Premesso che la frittura come metodo di cottura andrebbe sfruttata molto raramente poiché altera la struttura molecolare dei grassi producendo dei residui tossici per il nostro organismo, cerchiamo di capire assieme quali sono i migliori oli per limitare il più possibile i danni quando ci capita di preparare delle pietanze attraverso questo metodo.

Le alterazioni strutturali degli oli si manifestano anche visivamente: un olio esposto ad elevate temperature assumerà infatti un colore sempre più scuro, producendo residui schiumosi e aumentando la propria viscosità.

Tra i numerosi oli presenti sul mercato ve ne sono alcuni più stabili e resistenti alle alte temperature ed altri che si decompongono più facilmente. I fattori che intervengono sono 3: la temperatura e il tempo di esposizione al calore, la concentrazione di acidi grassi polinsaturi e il punto di fumo dell’olio.

In particolare gli oli contenenti grandi quantità di acidi grassi polinsaturi non vanno utilizzati per le fritture. Insomma, i famosi grassi omega 3 di cui tanto si parla perché preziosi nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, se sottoposti ad alte temperature diventano instabili producendo residui nocivi per il nostro corpo. Analogo discorso vale per gli omega-6.

L’olio d’oliva risulta l’olio più ideale per friggere grazie ad un punto di fumo abbastanza elevato.

Al contrario quello di girasole e di colza hanno un punto di fumo molto basso e sono ricchi di acidi grassi polinsaturi quindi vanno evitati.

Le informazioni sull’olio di vinaccioli sono contrastanti, in quanto a volte ci si può imbattere su oli di vinaccioli raffinati con punti di fumo dichiarati superiori ai 220°C e quindi teoricamente più adatti alla frittura.

Dott.ssa Carolina Capriolo
Biologa Nutrizionista

GLOSSARIO
*Punto di fumo: temperatura a cui un grasso alimentare riscaldato comincia a rilasciare sostanze volatili che divengono visibili sotto forma di un fumo tendente al colore azzurro, formando anche sostanze tossiche.

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